Elogio dell'imperfezione: l'importanza di sbagliare.
"Penso sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non diventare uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo. In questo mondo di vincitori volgari[…]a tutti i nevrotici del successo[…]a questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde."
Rosaria Gasparro.
Qual è il vostro modello di persona di successo?
La nostra è una società in cui si promuovono modelli di successo immediato e misurabile attraverso parametri come i voti, i soldi o la fama guadagnata. Ciò che davvero sembra contare sono i risultati e non il processo attraversato durante il percorso.
Vorrei raccontare due storie che mi hanno fatto pensare molto su cosa consideriamo successo e cosa fallimento e perché lo facciamo:
Sixto Rodriguez, simbolo inconsapevole
La prima è la storia di Sixto Rodriguez, un operaio nell’industria automobilistica di Detroit, con la passione per la musica e per la scrittura, che nel 1967 viene scoperto in un locale periferico di Detroit da due produttori di una casa discografica americana. Sixto è un cantautore, che scrive testi politicamente impegnati e che si batte per i diritti dei lavoratori. Pubblica due album, entrambi vendono pochissime copie negli Stati Uniti, la carriera artistica di Sixto sembra fallire. Il contratto con la casa discografica viene rescisso mentre sta per registrare il suo terzo album, che perciò non viene mai pubblicato. In difficoltà economiche, Rodriguez comincia a lavorare come operaio in cantieri edili e per ditte di demolizione. Nel 1970 acquista a un’asta giudiziaria, per 50 dollari, una casa in stato di abbandono nel sobborgo di Woodbridge. Fino a qui è una storia come tante, ma ciò che avviene dopo è davvero sorprendente.
A sua insaputa, infatti, i suoi dischi arrivano in Sud Africa ed è lì che hanno un successo impensabile. Le sue canzoni diventano, in breve, simbolo della lotta contro l’apartheid, grazie ai loro testi contro l’establishment, l’oppressione e il pregiudizio sociale. Nel 1981 guadagna un disco di platino e la sua popolarità è superiore a quella di Elvis Presley, dei Beatles e dei Rolling Stones. Di questa eccezionale popolarità, però, Rodriguez è completamente ignaro. Solo nel 1997 diventerà consapevole della sua fama e verrà invitato ad esibirsi davanti a migliaia di persone.
Alejandro Jodorowsky, il visionario
La seconda storia riguarda Alejandro Jodorowsky il regista, attore e scrittore cileno, che nella metà degli anni settanta accarezza l’idea di realizzare un’opera colossale e visionaria che, utilizzando l’ispirazione prodotta dal ciclo di romanzi di Frank Herbert, iniziato con Dune, attraverso il registro della fantascienza e del fantasy, metta in scena le idee e l’estetica della cultura psichedelica della fine degli anni sessanta, al fine di risvegliare le coscienze degli spettatori. Non esisteva ancora un immaginario cinematografico fantascientifico che fornisse un modello al regista. Il progetto del regista è molto ambizioso, basti pensare al cast che prevedeva come attori personaggi come Orson Welles, Mick Jagger e Salvador Dalí e una colonna sonora dei Pink Floyd. Jodorwsky e i suoi collaboratori scrivono e disegnano scena per scena tutto il film, realizzando una storyboard completa del film. Una volta realizzata, la propongono ai produttori di Hollywood, che però rifiutano il progetto. La pellicola pertanto non verrà mai realizzata dal regista cileno.
Tuttavia il progetto del film, si rivela in grado di suggestionare l’immaginario hollywoodiano dell’epoca e di anticipare se non addirittura influenzare la space opera per eccellenza: Guerre stellari.
In effetti molti degli artisti reclutati nella fase preparatoria del Dune di Jodorowsky saccheggeranno o ricicleranno dal progetto di Jodorowsky numerose idee per la realizzazione di film di grande successo commerciale, ad esempio Alien.
Queste sono storie di successo o di colossale fallimento?
I protagonisti di queste storie sono due antieroi, che hanno percorso strade difficili e non hanno ricevuto successi e ricompense in soldi o fama immediata eppure hanno tentato e, dal loro apparente fallimento, è nato qualcosa che forse aveva un bisogno di un processo lento, ma che è stato in grado di influire in maniera significativa sulle persone e sul futuro. Hanno tenuto salda la loro direzione, il loro intento senza perseguire solo il risultato immediato.
Pensiamo a genitori o agli insegnanti. Spesso in questi difficili ruoli ci si trova ad affrontare la percezione di fallire nell’immediato, magari perché i nostri figli o i nostri studenti sembrano non rispettarci o ci contestano o non rispondono come ci aspettiamo. Tuttavia, se abbiamo chiara la direzione che vogliamo tenere nella nostra relazione con loro, capita spesso di accorgerci che i frutti del nostro impegno hanno bisogno di tempo, ma arrivano puntuali, a ricordarci che, spesso, è necessario avere una visione d’insieme, che prenda in considerazione il processo e non solo i singoli risultati. I piccoli fallimenti quotidiani possono aiutarci a capire quale mezzo possiamo utilizzare per proseguire il viaggio verso la direzione che ci siamo dati, ma non devono scoraggiarci e farci desistere dal proseguire il cammino.
La stessa cosa avviene nei processi di apprendimento dei ragazzi. L’apprendimento, infatti, è un’avventura che deve lasciare spazio a desiderio e curiosità, eppure, spesso, ciò che insegniamo sopra ogni cosa è la paura di sbagliare, di prendere un brutto voto. Vedo spesso genitori che fanno i compiti con i figli e che li correggono prima che arrivino a scuola o che si sostituiscono per evitare che il figlio sbagli. In questo modo il messaggio che si manda ai ragazzi è che l’errore non è ammesso, non è riparabile. Non permettiamo ai nostri figli di poter imparare da quell’errore, di scoprire delle cose di sé e del mondo, diamo l’immagine di una vita come una partita in cui si può solo o vincere o perdere, in cui il percorso non conta e ciò che conta è solo il risultato.
Eppure, imparare a perdere, è necessario per il benessere, perché ogni giorno perdiamo qualcosa, in ogni relazione perdiamo qualcosa. L’errore è formativo e creativo poichè libera dall’ossessione del successo e dalla sindrome del migliore, che produce solo ansie e demotivazioni.
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